Il contatto
Nel novembre del 2000 mi giunge una telefonata dalla Caritas Ambrosiana che mi chiede se sono disponibile per fare una serie di lezioni in Albania su Animazione e Gioco, partenza entro 15 giorni.
Ogni nuova esperienza mi affascina per cui la mia risposta non è potuta essere che una sola: Sì!
Disbrigate a tempo di record le pratiche burocratiche per ottenere l’aspettativa dalla scuola, salgo, non senza preoccupazioni, su un Tupolev dell’Albanian Airline.
Benvenuto in Albania!
Il terminal dell’aeroporto di Tirana consisteva in una stanzina non intonacata con pavimento in terra battuta. Incontrati i miei accompagnatori, salgo su una vecchia Mercedes e, dopo un viaggio di 3 ore per fare poco meno di 150 chilometri, entriamo in Scutari attraversando buche piene d’acqua melmosa alte poco meno di mezzo metro.
Le strutture albanesi
Il giorno dopo Elena, la direttrice del corso per operatori sociali e assistenziali, mi accompagna a visitare delle strutture pubbliche e private di Scutari.
Il lager del film di Benigni è una reggia in confronto all’ospedale psichiatrico! Nell’orfanotrofio, le tazze in cui i bimbi fanno colazione sono i fondi tagliati dalle bottiglie di plastica dei detersivi liquidi. Solo nell’ospizio per anziani e nell’asilo delle piccole sorelle di Madre Teresa le cose sono un po’ meglio: come da noi cinquant’anni fa.
I giovani albanesi
Nel pomeriggio incontro gli allievi: ragazze e ragazzi albanesi che vogliono imparare un lavoro per poterlo svolgere in Albania senza dover migrare. Gente normale, simpatica e volenterosa. Per loro tutto è novità. Da piccoli non hanno giocato molto. In seguito ho visto bambini che giocavano alla guerra nella villa (ex meravigliosa) del Re Zogo sopra Shiroka. Ho visto anche bambini senza una mano, o un occhio, o tutti e due. E una bambina che ha visto saltare il padre su una mina che portava con sé per difendersi da una faida familiare. Ho visitato la Zadrima dove gli italiani avevano costruito le strade (sono le uniche decenti!) durante l’occupazione fascista, e dove c’è un simbolico cimitero pieno di croci bianche delle ragazze scomparse, condotte in Italia o in Grecia a prostituirsi.
Un paese affascinante
Ci sono anche le cose belle e le belle persone, piene di orgoglio. Affascinato da quelle esperienze, ci ritorno nel febbraio dell’anno dopo per continuare il corso sul Gioco, con l’aggiunta dell’Abilità manuale. Poi in luglio faccio un viaggio di turismo responsabile ospitato nelle famiglie: scopro un’Albania diversa, dignitosa, anche pulita e ordinata in montagna, ma sporca e mal tenuta in pianura.
Voglia di cambiare
Torno nel settembre dell’anno successivo per un incontro sulla pace con i giovani di tutte le diocesi albanesi: gente che vuole cambiare il proprio paese e rompere con le abitudini dei loro padri.
Nel villaggio della Pace di Scutari ci sono anche persone e famiglie tenute lì per non essere ammazzate dalle vendette di sangue imposte dai capi tribù tra le quali vige ancora il Kanun, il codice medievale che è più forte della Legge. E i giovani o lottano scontrandosi con le tradizioni o migrano verso paesi più liberi.
L’alluvione
Quando arrivo l’Abania è in emergenza alluvione. Padre Mario mi porta in giro per il nord a fotografare i danni. Così scopro nuove realtà: alla periferia di Scutari le famiglie vivono in una baracca con pavimento in terra battuta, ora invasa dal fango, ma la parabola per captare le TV italiane non manca. Faccio un reportage che a Milano espongo nella mia parrocchia di Santa Maria del Suffragio, per la raccolda di fondi e generi di prima necessità da spedire alla Caritas albanese.
Sulle strade dell’Albania
Nell’agosto del 2006 con Elena e Moreno partiamo con la mia macchina attraversando l’ex Jugoslavia, con puntate a Sarajevo e Mostar. Anche se l’ingresso in Scutari è sempre in buche con acqua, le strade sono migliori. Visitiamo Berat, patrimonio dell’Unesco. Viviamo due giorni a Valona dove il contrasto tra la realtà e la facciata esteriore è molto evidente: il viale principale, largo alberato, con palazzi modernissimi, è percorso da Mercedes e gipponi mozzafiato degli scafisti. Nelle vie laterali palazzi fatiscenti, vie sporche e piene di buche con e senz’acqua. Gli appartementi sono puliti e dignitosi, anche se la cucina consiste in forni e fornelli elettrici, perché non c’è il gas e i bagni hanno una doccia prensile che scarica direttamente sulla turca. La fuga dei giovani albanesi
Ma gli albanesi che lasciano la loro terra per voglia di libertà sono pochi: la maggior parte lo fa per fame e per soldi. A Puke don Giovanni ci mostra con orgoglio ciò che cerca di realizzare in quelle montagne che sembrano un angolo del paradiso, per trattenere i pochi giovani rimasti. A Scutari scopriamo che più della metà dei nostri ex allievi sono in Italia, dove hanno fatto valere il loro titolo per lavorare negli ospedali e nelle case di riposo. Le chimere televisive che mostrano ballerini e calciatori che han fatto successo in Italia, attira molti giovani. Pochi riescono a fare strada e si inseriscono nel tessuto sociale italiano. La maggioranza non trova lavoro e finisce nelle mani della malavita italiana o delle cosche albanesi che operano in Italia. |